Quinta Bolgia, tutto il disastro della sanità calabrese

A Lamezia la Dda scopre un ospedale totalmente controllato dalla 'ndrangheta

di Francesco Pungitore


Il disastro della sanità calabrese emerge in tutta la sua crudezza dalle pagine dell'inchiesta “Quinta Bolgia”. Una operazione condotta dalla Dda di Catanzaro, guidata da Nicola Gratteri, dai finanzieri del Comando provinciale del capoluogo e dello Scico di Roma, che ha svelato un intreccio perverso tra mafia, politica e dirigenti pubblici. Collusioni criminali capaci di determinare il controllo totale sull'ospedale di Lamezia Terme da parte delle cosche di 'ndrangheta, con una vera e propria occupazione militare di appalti e servizi. 

Gli stessi pazienti erano tenuti sotto osservazione dagli uomini dei clan, pronti ad imporre la loro opera anche in caso di decesso, organizzando i funerali dei ricoverati dietro pressioni e minacce alle famiglie dei defunti. Una posizione privilegiata che derivava dal dominio assoluto esercitato dalla 'ndrangheta sul nosocomio, con l'accesso libero e indisturbato ai reparti ed alle cartelle cliniche. I sodali delle 'ndrine visionavano persino i dati sensibili dei degenti, focalizzando la loro attenzione su quelli che versavano in condizioni critiche, pronti a cogliere l'occasione. In particolare, erano i Iannazzo-Cannizzaro-Da Ponte a dominare la scena, in combutta con due ditte che monopolizzavano il servizio di fornitura delle ambulanze ed i servizi funerari. Nel mirino degli inquirenti i gruppi imprenditoriali affidatari dei servizi grazie, secondo la Dda di Catanzaro, ad appoggi politici ed a funzionari Asp compiacenti. 

C'era, dunque, un inevitabile e persistente clima di tensione nelle corsie dell'ospedale di Lamezia. Tra i brogliacci dell'inchiesta, un'intercettazione spiega bene quale fosse il livello di paura e preoccupazione. Un dirigente dell'ospedale di Lamezia chiama un collega dell'Asp di Catanzaro “per esporgli il persistente problema dei cassamortari”. “Stanno succedendo dei fattarelli antipatici - gli dice -  perché questi cassamortari qua stanno avendo una sfrontatezza indicibile, ci sono persone che hanno registrato delle cose, insomma è una materia un po' scottante questa qua”. 

Ma gli interessi della 'ndrangheta nel settore della sanità a Lamezia si allargavano anche alla gestione del servizio sostitutivo delle autoambulanze. Mezzi fatiscenti, con freni e luci non funzionanti, cambio difettoso, problemi alla frizione, revisioni non effettuate. Dei veri rottami che i gruppi imprenditoriali coinvolti nell'operazione della Guardia di Finanza di Catanzaro rifilavano all'Asp del capoluogo calabrese in base ad accordi corruttivi con i dirigenti dell'azienda favoriti dalla presenza della 'ndrangheta. 

Le indagini avrebbero fatto emergere, secondo quanto scrivono gli inquirenti, “un'allarmante carenza tecnica e organizzativa” in capo all'associazione temporanea di scopo che monopolizzava le forniture, esercitando un vero e proprio dominio sull'ospedale di Lamezia Terme, a cui con procedure d'urgenza era affidato il servizio, sempre senza gare. 

Le ambulanze, secondo finanzieri e magistrati della Dda catanzarese, erano inadeguate non solo da un punto di vista meccanico, ma anche per ciò che riguarda le dotazioni elettromedicali: mancavano termoculle per il trasporto di neonati, l'ossigeno era scaduto o addirittura assente. Non meno preoccupante quanto emerso in merito all'impiego del personale, non qualificato e non provvisto delle adeguate abilitazioni professionali.

Scenario da Terzo Mondo, se non peggio, in una regione commissariata da anni che continua a spendere milioni di euro in sanità, lasciando sempre i cocci ai cittadini. [13 novembre 2018]

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